Ecco come gli organoidi cerebrali potrebbero aprire la strada a nuovi innovativi trattamenti per la schizofrenia
Per una malattia psichiatrica come la schizofrenia, la diagnosi del paziente è effettuata sulla base di sintomi psichiatrici. Questi non possono essere individuati da test di laboratorio eseguiti in provetta o in un macchinario, ma richiedono del tempo per parlare con il paziente e valutarne il comportamento. Quando il comportamento del paziente è cambiato abbastanza da consentire una diagnosi, la malattia si è ormai sviluppata, determinando una radicale alterazione della biologia cellulare del cervello. Conseguentemente, non è possibile studiare le prime fasi della malattia.
La promessa degli organoidi
«È qui che gli organoidi cerebrali diventano utili, come modello delle prime fasi di sviluppo del cervello umano», afferma Joshua Bagley, ricercatore postdottorato dell’Institute of Molecular Biotechnology in Austria e borsista Marie Skłodowska-Curie. Dal momento che un particolare tipo di neurone, il sottotipo interneurone GABAergico, ha un ruolo importante nella patogenesi della schizofrenia, l’attenzione si è concentrata sullo studio della maniera in cui lo sviluppo di neuroni inibitori potrebbe essere correlato alla schizofrenia. «Prima di tutto, abbiamo sviluppato un modello di organoide cerebrale che produceva neuroni inibitori; gli interneuroni sono marcati con coloranti fluorescenti in modo da poter essere visualizzati in tessuti viventi. Questa etichetta fluorescente ci ha consentito di studiare il comportamento cellulare», spiega Bagley. «Infine, abbiamo introdotto mutazioni nei geni associati alla schizofrenia e abbiamo valutato in che modo il comportamento degli interneuroni fosse stato alterato. Questo ci ha consentito di raggiungere il nostro scopo ultimo, vale a dire comprendere il ruolo dei geni patogeni associati alla schizofrenia nello sviluppo di neuroni cerebrali inibitori.» Ma come si crea effettivamente un organoide cerebrale? «Cellule cutanee o ematiche possono essere raccolte e riprogrammate in cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC)», afferma Bagley. «In seguito, si può fare in modo che queste cellule crescano, trasformandosi, o differenziandosi, in tutti i diversi tessuti del corpo.» Nel caso degli organoidi cerebrali, i ricercatori hanno usato delle iPSC per generare tessuto cerebrale. Il risultato finale è un tessuto 3D eterogeneo formato da strati organizzati di cellule come osservato nelle prime fasi di sviluppo del cervello del feto.
Superare una grande sfida
Il progetto Schizophrenia Organoids ha dovuto affrontare una grande sfida. Per evidenziare i difetti patologici nei cervelli dei pazienti schizofrenici, Bagley e il suo team si sono prefissi di creare un indicatore PV-GFP, costituito da parvalbumina (PV) e proteina fluorescente verde (GFP). La parvalbumina è un marcatore di una specifica serie di neuroni inibitori che evidenziano tali difetti. «Ma l’espressione di PV è più elevata quando i neuroni sono più vecchi o più maturi, rendendo pertanto difficile mostrare i neuroni PV in tessuto cerebrale immaturo, compresi gli organoidi cerebrali.» Per ovviare a questo, hanno spostato l’attenzione sull’uso di un indicatore specifico per i neuroni inibitori, chiamato DLXi56-GFP. Questo ha avuto il vantaggio di consentire al team di analizzare una specifica popolazione neuronale all’interno dei loro organoidi, con l’ulteriore vantaggio di una minore variabilità nell’ultima lettura del saggio prodotto.
Uno sguardo al futuro
La ricerca focalizzata sugli organoidi cerebrali è ancora in fase iniziale, ma è un campo che Bagley è determinato a contribuire a far progredire ulteriormente. «Nel 2020 passerò dal mondo accademico all’industria unendomi a una stimolante nuova start-up a Vienna, a:head Bio, che concentrerà l’attenzione sull’utilizzo degli organoidi cerebrali per sviluppare nuove terapie per disturbi cerebrali», conclude Bagley.
Parole chiave
Schizophrenia Organoids, organoidi cerebrali, schizofrenia, interneurone, iPSC, neuroni inibitori, geni