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Contenuto archiviato il 2023-03-09

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Le collisioni galattiche non alimentano i buchi neri

Se pensavate che le collisioni tra galassie stimolassero la crescita dei buchi neri, vi sbagliavate: le ultime ricerche dimostrano che i veri responsabili sono altri fenomeni, di minore entità. Gli astronomi presenteranno i risultati di questo studio nel prossimo numero di The...

Se pensavate che le collisioni tra galassie stimolassero la crescita dei buchi neri, vi sbagliavate: le ultime ricerche dimostrano che i veri responsabili sono altri fenomeni, di minore entità. Gli astronomi presenteranno i risultati di questo studio nel prossimo numero di The Astrophysical Journal. Secondo gli esperti, la maggior parte della galassie, Via Lattea compresa, contiene buchi neri massicci, ma "tranquilli". Altre galassie, invece, consumano "grandi quantità di materia che riluce prima di cadere nell'oblio", spiega il team. Si tratta di un processo che rende superluminoso il centro di queste galassie, denominato dagli esperti "nucleo galattico attivo (AGN)". Ma la domanda è: perché esiste questa differenza? I ricercatori hanno ipotizzato a lungo che le collisioni galattiche stimolassero la crescita dei buchi neri iniettandovi materia, ma quest'ultimo studio dimostra che non è così. Per mettere alla prova questa teoria, un'équipe di astronomi francesi, tedeschi, italiani, giapponesi, svizzeri e statunitensi ha messo a confronto 140 galassie attive (creando un modello e rimuovendo il punto luminoso che rivela l'AGN) con un gruppo di controllo di oltre 1.200 galassie inattive raffrontabili. Non è stata evidenziata alcuna relazione tra la fusione di galassie e l'aumento di attività degli AGN, almeno negli ultimi 8 miliardi di anni. In poche parole, in almeno il 75% dei casi, se non in tutti, sono altri i fenomeni che determinano la crescita dei buchi neri, ad esempio l'instabilità all'interno delle galassie o le collisioni di nubi molecolari. Secondo l'équipe, l'emissione delle radiazioni dai nuclei galattici attivi è causata dal comportamento della materia, comprese le nubi di gas o le stelle, che si riscalda mentre cade nel supermassiccio buco nero posto nella parte centrale della galassia. Una questione ancora aperta è come questa materia attraversi gli ultimi anni luce per raggiungere il centro del buco nero prima di esservi risucchiata. Il ricercatore Mauricio Cisternas dell'Istituto Max Planck di astronomia in Germania, coordinatore dello studio, ha dichiarato: "Uno studio di questa portata è diventato possibile solo recentemente, da quando sono disponibili le osservazioni del telescopio spaziale Hubble, che ci hanno permesso di esaminare in maniera straordinariamente dettagliata un ampio campione di galassie, sia attive sia inattive, anche molto distanti". Utilizzando le osservazioni a raggi X del telescopio spaziale XMM-Newton dell'Agenzia spaziale europea (ESA), gli astronomi hanno identificato le galassie attive, analizzandole successivamente in maggiore dettaglio grazie alle immagini ottiche generate dal telescopio spaziale Hubble (progetto NASA/ESA). "Di solito è possibile stabilire quando una galassia è stata coinvolta in una fusione", spiega il dott. Knud Jahnke dell'Istituto Max Planck di astronomia. "A differenza delle ellissi o delle spirali precise e ben definite generalmente visibili nelle immagini di Hubble, infatti, queste galassie hanno un aspetto irregolare e contorto. Volevamo scoprire se le galassie 'deformate' avevano più probabilità delle altre di ospitare un nucleo attivo". Il prossimo enigma che i ricercatori hanno in programma di risolvere è se esista o meno una relazione causale tra fusioni e attività nel passato più remoto. Per farlo, utilizzeranno le informazioni provenienti da due programmi di osservazione che coinvolgono il telescopio spaziale Hubble e i dati forniti dal suo successore, il telescopio spaziale James Webb, il cui lancio è previsto dopo il 2014.Per maggiori informazioni: Hubble European Space Agency Information Centre: http://www.spacetelescope.org/about_us/heic/ Istituto Max Planck per l'astronomia: http://www.mpia.de/ The Astrophysical Journal: http://iopscience.iop.org/0004-637X/

Paesi

Svizzera, Germania, Francia, Italia, Giappone, Stati Uniti

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