Buchi neri attivati da forze intergalattiche
La maggior parte delle galassie dell'Universo ospitano enormi buchi neri che variano in massa da circa 1 milione a 10 milioni di volte la massa del Sole. Per trovarli, gli astronomi cercano l'enorme quantità di radiazioni emesse dai gas che cadono in questi oggetti durante il periodo in cui i buchi neri sono attivi. Si pensa che questa caduta di gas sia il mezzo con il quale i buchi neri crescono. Comunque, in alcune galassie come la nostra Via Lattea, il buco nero è inattivo. Un team di ricercatori sostiene che i buchi neri possono essere attivati senza collisioni galattiche, cosa che prima non era ritenuta possibile. Hanno usato dati del Telescopio molto grande (VLT) dell'Osservatorio meridionale europeo (ESO) e dell'osservatorio spaziale a raggi X XMM-Newton dell'Agenzia spaziale europea (ESA). Finora, molti astronomi pensavano che i nuclei attivi si accendessero quando due galassie passano l'una vicina all'altra o si fondono e il materiale disturbato diventa carburante per il buco nero centrale. Il nuovo studio, che sarà pubblicato su The Astrophysical Journal, indica che questo potrebbe non essere vero per molti nuclei di galassia attivi (AGN). Viola Allevato del Max-Planck-Institut für Plasmaphysik di Garching, Germania, e i suoi colleghi hanno esaminato attentamente oltre 600 galassie in una zona del cielo ampiamente studiata. Conosciuta come il campo Cosmos e situata nella costellazione equatoriale del Sestante, copre una zona circa 10 volte quella della Luna piena. In particolare, la presenza di AGN è stata rivelata dai raggi X emessi da tutto intorno ai buchi neri, che erano stati trovati dall'osservatorio spaziale XMM-Newton dell'ESA. Questi nuclei di galassia sono stati poi osservati usando il VLT dell'ESO, che è stato in grado di misurare le distanze fino alle galassie. Messe insieme, le osservazioni hanno permesso al team di stilare una mappa tridimensionale che mostra dove si trova l'AGN. "Ci sono voluti oltre cinque anni, ma siamo riusciti a fornire uno dei più grandi e più completi inventari delle galassie attive nel cielo a raggi X," ha commentato la co-autrice dello studio Marcella Brusa del Max-Planck-Institut für Extraterrestrische Physik. In seguito gli astronomi hanno usato la nuova mappa per scoprire come gli AGN erano distribuiti e per confrontare questo con previsioni teoriche. Inoltre sono riusciti a vedere come la distribuzione cambiava man mano che l'Universo invecchiava - da circa 11 miliardi di anni fa fino quasi ad oggi - e hanno scoperto che gli AGN si trovano principalmente nelle galassie più grandi. I risultati sono sorprendenti, perché sembrano escludere le fusioni di galassie che producono distorsioni come un'importante causa di AGN, l'ipotesi generalmente accettata finora. Se gli AGN fossero una conseguenza della fusione delle galassie o del loro passaggio l'una accanto all'altra, si troverebbero in galassie con massa moderata. Ciononostante, la maggior parte degli AGN sono stati trovati in galassie con una massa circa 20 volte maggiore rispetto al valore previsto dalla teoria. "Questi nuovi risultati ci danno nuove informazioni su come i buchi neri supermassicci cominciano a mangiare," dice Viola Allevato, autrice principale dello studio. "Indicano che i buchi neri normalmente sono nutriti da processi interni alla galassia stessa, come le instabilità del disco e gli starburst, invece che dalle collisioni di galassie." Alexis Finoguenov del Max-Planck-Institut für Extraterrestrische Physik, che ha fatto da supervisore allo studio, conclude che "anche nel passato remoto, fino a quasi 11 miliardi di anni fa, le collisioni di galassie potevano rappresentare solo una piccola percentuale dell'attività moderatamente luminosa delle galassie attive. A quei tempi le galassie erano più vicine le une alle altre, quindi si pensa che le fusioni fossero più frequenti rispetto al passato più recente, i nuovi risultati sono quindi ancora più sorprendenti."Per maggiori informazioni, visitare: Osservatorio meridionale europeo (ESO): http://www.eso.org/ The Astrophysical Journal: http://iopscience.iop.org/0004-637X/
Paesi
Germania, Danimarca, Francia, Italia, Giappone, Stati Uniti