Una ricerca rileva pratiche di assunzione discriminatorie in Europa
Il successo dell’integrazione dei migranti contribuisce al benessere, alla prosperità e alla coesione futuri di qualsiasi società. Tuttavia, le disuguaglianze presenti nel mercato del lavoro per quanto riguarda immigrati e minoranze ostacolano la crescita e l’impiego efficiente del capitale umano esistente. L’aumento della percentuale di migranti e dei loro discendenti in Europa rappresenta una sfida politica complessa, in cui l’inserimento e la corretta gestione della mobilità della manodopera giocano un ruolo di primo piano. Con il sostegno del progetto GEMM, finanziato dall’UE, un recente studio sulle procedure di assunzione europee ha concluso che i figli di immigrati sono vittime di discriminazione nel momento in cui accedono al mercato del lavoro. I risultati della ricerca sono riassunti in un comunicato stampa emesso dall’Università Carlos III di Madrid (UC3M), in qualità di partner del progetto. I ricercatori hanno esaminato vari dati per capire se i figli di immigrati, con genitori nati perlopiù al di fuori dell’UE, entrino a far parte della forza lavoro a condizioni uguali a quelle riservate ai candidati con genitori nati nell’UE. L’analisi si è basata sulle pratiche di assunzione di oltre 19 000 aziende attive in Germania, Spagna, Paesi Bassi, Regno Unito e Norvegia. «A tale scopo, i ricercatori hanno confrontato le risposte che i candidati hanno ricevuto dalle varie aziende con quelle ottenute da canditati aventi CV identici ma genitori nati all’interno dell’UE. In questo modo hanno potuto valutare il grado di discriminazione di tutti i paesi presi in considerazione dallo studio». Discriminazione nel campo dell’occupazione Dai risultati è emersa «l’esistenza in tutti i paesi presi in esame, di livelli preoccupanti di discriminazione per quanto riguarda l’ingresso nel mondo del lavoro da parte dei figli di immigrati». Il grado di discriminazione più elevato è stato osservato nel Regno Unito e in Norvegia, mentre Germania e Spagna hanno registrato i livelli più bassi tra i paesi analizzati. Secondo il dott. Javier Polavieja, direttore del progetto presso la UC3M, «i risultati ottenuti in Spagna appaiono particolarmente rilevanti se consideriamo che qui la crisi economica ha colpito più duramente di quanto non abbia fatto negli altri paesi inclusi nello studio e che la crisi è stata preceduta dal più marcato aumento del flusso migratorio mai registrato in Europa. In linea teorica, questi fattori dovrebbero rendere la Spagna uno dei paesi con la maggiore incidenza di pratiche discriminatorie piuttosto che il contrario». E aggiunge: «Sembra che questa discriminazione non si basi tanto sulla mancanza di informazioni, quanto sui pregiudizi e sugli stereotipi perpetrati dai datori di lavoro o forse sui comportamenti discriminatori inconsci di questi ultimi». Il progetto GEMM (Growth, Equal Opportunities, Migration and Markets) si è concluso nel 2018. Lo scopo era esaminare gli ostacoli a un’efficace integrazione dei migranti e, in particolare, la capacità di richiamare e trattenere migranti altamente qualificati. Avendo determinato gli stimoli alla crescita legati alla migrazione, lo studio si prefiggeva inoltre di identificare le cause della discriminazione attraverso un’analisi internazionale della discriminazione etnica nel mercato del lavoro europeo. Grazie alle analisi teoriche ed empiriche del progetto, i partner hanno potuto spiegare le differenze tra gli esiti ottenuti in vari contesti istituzionali, nonché approfondire le implicazioni pratiche delle diverse misure politiche. Per maggiori informazioni, consultare: sito web del progetto GEMM
Paesi
Regno Unito