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Svelata l’eziologia dell’aggressività, nuovi trattamenti in arrivo

Le basi biologiche dell’aggressività sono una questione molto dibattuta, ma la nostra comprensione dei meccanismi sottostanti è ancora molto limitata. Il progetto AGGRESSOTYPE ha cercato di colmare questa lacuna allo scopo di aiutare a prevedere l’aggressività e, alla fine, studiare nuove opzioni di trattamento.

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La nascita della civiltà umana ha fatto dell’aggressività, un tratto comune di tutti gli animali che cercano di predare o difendersi, un comportamento deviante che può portare a disadattamento, problemi sociali e criminalità. Ma la vera domanda per gli psichiatri è duplice: In che modo i nostri geni influenzano la tendenza di un paziente a mostrare un comportamento aggressivo disadattivo, e come può una comprensione migliore della sua eziologia portare a una previsione e un trattamento migliori. Il finanziamento nell’ambito del progetto quinquennale AGGRESSOTYPE (Aggression subtyping for improved insight and treatment innovation in psychiatric disorders), che si concluderà a ottobre 2018, sta aiutando a rispondere a queste domande. Barbara Franke, professoressa di psichiatria molecolare al Radboud University Medical Centre e coordinatrice del progetto, discute dei suoi risultati finora raggiunti. Sono disponibili alcuni trattamenti per i pazienti affetti da ADHD o disturbo del comportamento. Lei ritiene che questi trattamenti sono del tutto inefficaci? Le opzioni per il trattamento sono finora veramente limitate, con l’allenamento del comportamento e una piccola serie di agenti psicofarmacologici che, anche se di uso generale, sono spesso scarsamente efficaci. Sosteniamo che questo sia dovuto a una comprensione insufficiente dei meccanismi biologici che stanno alla base dell’aggressività. Come intendete affrontare questa problematica? L’eziologia dell’aggressività è estremamente eterogenea: dati i suoi differenti ruoli evolutivi nella sopravvivenza, vi sono differenti strade verso l’aggressività. In AGGRESSOTYPE, abbiamo preso le informazioni provenienti dalla ricerca sugli animali come punto di partenza per suddividere il comportamento aggressivo. Abbiamo scoperto che si possono distinguere due tipi differenti di comportamento aggressivo disadattivo: aggressività impulsiva e reattiva – dove una persona reagisce in maniera eccessiva a minacce percepite o frustrazioni interne – e aggressività proattiva – dove l’aggressività è usata come uno strumento per raggiungere un obiettivo. Si sa che circuiti cerebrali diversi supportano questi tipi differenti di aggressività. Successivamente abbiamo anche trovato delle differenze nel contributo genetico ai sottotipi di aggressività. Ci può dire di più riguardo al procedimento di ricerca utilizzato e alle vostre conclusioni principali sui meccanismi alla base dell’aggressività? Abbiamo studiato i meccanismi alla base dei sottotipi di aggressività a vari livelli. I primi tre livelli comprendevano: studi genetici molecolari per trovare nuovi geni candidati per l’aggressività con un’analisi dettagliata per sottotipo e sesso; identificazione delle alterazioni della regolazione genica attraverso studi epigenetici e analisi diretta dell’espressione genica; utilizzo di neuroni derivati da cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC) umane per identificare alterazioni in vettori di mutazioni genetiche associate ad aggressività incrementata (impulsiva). Abbiamo scoperto alterazioni associate all’aggressività e ai suoi sottotipi a tutti questi livelli. Nell’ultimo sistema modello in vitro, abbiamo potuto davvero dimostrare alterazioni nella comunicazione di cellule neuronali. Gli altri livelli esaminati includono: l’effetto dei geni dell’aggressività e dei geni per i disturbi dell’impulsività sul cervello (abbiamo trovato lievi cambiamenti nella dimensione totale del cervello che erano in parte accompagnati da cambiamenti nella maturazione delle connessioni nel cervello durante lo sviluppo iniziale); lo studio dei geni dell’aggressività nel pesce zebra e nei topi che ci ha consentito di identificare le sottostanti vie molecolari; e studi dei circuiti cerebrali che sono coinvolti in modo differenziato nelle forme reattive e proattive di aggressività. Infine, abbiamo condotto studi sulle popolazioni a rischio. Una delle nostre conclusioni più importanti è stata che si osserveranno spesso le persone soggette all’aggressività proattiva fare ricorso anche all’aggressività reattiva, mentre esiste il sottotipo reattivo senza aggressività proattiva. Quali direbbe che sono gli aspetti più innovativi del vostro approccio? Nel nostro lavoro ci sono diversi aspetti nuovi e molto interessanti. Per me, quello più importante è la forte integrazione tra differenti discipline. Questo consente, per esempio, di tradurre nell’ambito di un singolo progetto le conclusioni dall’identificazione molecolare alle prove in sistemi modello animali e cellulari. Questo ci ha fornito dei dati molto interessanti da mostrare, come per esempio l’identificazione di un nuovo gene candidato per l’aggressività, RBFOX1. Al momento stiamo studiando questo candidato in dettaglio, utilizzando anche topi e pesci zebra come modelli. Il progetto si è concentrato anche sul trattamento. Come avete agito per trovare dei potenziali candidati? Il trattamento rappresenta un secondo pilastro molto importante del nostro progetto. Abbiamo esaminato nuove vie, sia per il trattamento non-farmacologico che per quello farmacologico. Per quanto riguarda il primo, stiamo studiando il biofeedback quale potenziale nuova opzione per prevenire il peggioramento delle tendenze aggressive. Insegniamo ai bambini a regolare la loro attività cerebrale mentre osservano delle scene emozionanti. Lo studio è ancora in corso, ma gli studi pilota appaiono promettenti. Per il trattamento farmacologico, abbiamo esaminato l’uso di metilfenidato, il farmaco più comunemente usato per l’ADHD, per il trattamento del comportamento aggressivo in giovani detenuti affetti da ADHD. Questa sperimentazione in aperto è stata un enorme successo, e adesso stiamo andando avanti con una sperimentazione controllata randomizzata. Inoltre, utilizziamo molteplici attività per garantire che ai detenuti siano forniti i servizi diagnostici e i farmaci adeguati, ove necessario. Abbiamo iniziato con la formazione degli operatori dei servizi di salute mentale dei detenuti, e programmiamo di estendere il programma in tutta Europa. In molte di queste attività, siamo supportati dalle organizzazioni europee dei pazienti per l’ADHD, rappresentate da ADHD-Europe. Per innovare il trattamento farmacologico, abbiamo sviluppato un saggio a media/alta capacità per pesci zebra giovani con la PMI ViewPoint. Questo è stato recentemente messo in commercio. Utilizzando il nostro saggio automatizzato, abbiamo identificato diversi composti promettenti, che abbiamo poi caratterizzato dettagliatamente. Quali sono i vostri piani successivi? Stiamo esaminando vari modi per prolungare i finanziamenti per il nostro lavoro. La collaborazione tra la maggior parte dei ricercatori di AGGRESSOTYPE va avanti da oltre 11 anni come parte della International Multicenter Persistent ADHD Collaboration (IMpACT), ed è anche supportata da un ECNP Network (ADHD across the lifespan). Recentemente abbiamo ottenuto una borsa di studio dell’UE per studiare il ruolo della nutrizione e del microbioma nel comportamento impulsivo e aggressivo (Eat2beNICE, guidato dal dott. Alejandro Arias Vasquez), nel cui ambito possiamo proseguire alcuni aspetti del nostro lavoro in AGGRESSOTYPE. Significativamente, abbiamo anche instaurato una stretta collaborazione con i tre altri consorzi finanziati dall’UE su aggressività e disturbi del comportamento, FemNAT-CD, MATRICS e ACTION, con cui stiamo organizzando workshop, simposi e conferenze, oltre a Numeri speciali in varie riviste scientifiche. La ricerca biologica dell’aggressività è stata una questione trascurata per lungo tempo, ed è stato ammirevole da parte della Commissione europea assegnare finanziamenti a quattro progetti per lavorare su questo soggetto, che possiede implicazioni così importanti per la società. Speriamo che futuri inviti a presentare proposte dell’UE forniscano opportunità di proseguire il lavoro iniziato nei nostri consorzi negli anni a venire. Per ulteriori informazioni, si consulti: sito web del progetto

Paesi

Paesi Bassi