Basta una sola molecola per fare un interruttore
Per la prima volta in assoluto, un gruppo di ricerca internazionale ha dimostrato un interruttore realizzato con una singola molecola chiamata fullerene. I ricercatori, sostenuti in parte dal progetto PETACom, finanziato dall’UE, sono riusciti a usare il fullerene per commutare il percorso di un elettrone in entrata in modo prevedibile. La loro ricerca è stata pubblicata sulla rivista «Physical Review Letters». Che cosa significa tutto ciò in termini di applicazioni reali? Come descritto in un comunicato stampa pubblicato dall’Università di Tokyo (Giappone), il processo di commutazione – aiutato da un impulso laser accuratamente sintonizzato – può essere fra i tre e i sei ordini di grandezza più veloce degli interruttori nei microchip. La velocità effettiva dipende dagli impulsi laser utilizzati: ciò significa che, se gli attuali switch di rete fossero sostituiti da interruttori in fullerene, si potrebbero ottenere computer con capacità di gran lunga superiori a quelle dei transistor elettronici, nonché dispositivi di imaging microscopici con livelli di risoluzione senza precedenti.
Come un transistor, ma più veloce
«Quello che siamo riusciti a fare è controllare il modo in cui una molecola dirige il percorso di un elettrone in entrata utilizzando un brevissimo impulso di luce laser rossa», afferma nel comunicato stampa il primo autore dello studio, il dott. Hirofumi Yanagisawa dell’Istituto di Fisica dello stato solido dell’Università di Tokyo. «A seconda dell’impulso di luce, l’elettrone può rimanere sul suo percorso predefinito o essere reindirizzato in modo prevedibile. Funziona un po’ come i punti di commutazione di un binario ferroviario o di un transistor elettronico, ma molto più velocemente. Pensiamo, infatti, di poter raggiungere una velocità di commutazione superiore a quella di un transistor classico di 1 milione di volte e ciò potrebbe tradursi in prestazioni reali nel mondo dell’informatica. Altrettanto importante è quanto segue: se riuscissimo a sintonizzare il laser per indurre la molecola di fullerene a commutare in più modi allo stesso tempo, sarebbe come avere più transistor microscopici in una singola molecola, aumentando così la complessità di un sistema senza aumentarne la dimensione fisica.» La molecola di fullerene è composta da una serie di atomi di carbonio che formano una sfera. Quando sono posizionati su un punto metallico, i fullereni si orientano in un modo specifico che consente loro di dirigere gli elettroni in modo prevedibile. Gli impulsi laser emessi a quadrilioni o addirittura a quintilioni di secondo verso le molecole di fullerene innescano l’emissione di elettroni. «Questa tecnica è simile al modo in cui un microscopio a emissione di fotoelettroni produce immagini», spiega il dott. Yanagisawa, «che tuttavia possono raggiungere risoluzioni al massimo intorno ai 10 nanometri, ossia dieci miliardesimi di metro. Il nostro interruttore in fullerene migliora questo aspetto e consente risoluzioni di circa 300 picometri, ossia trecentomila miliardesimi di metro». I risultati ottenuti grazie al sostegno del progetto PETACom (Petahertz Quantum Optoelectronic Communication) aprono la strada a interruttori in grado di eseguire compiti di calcolo molto più velocemente degli attuali microchip. Sono ancora molti, però, gli ostacoli da superare prima di vedere la tecnologia basata sugli interruttori in fullerene nei nostri dispositivi informatici. Per maggiori informazioni, consultare: pagina web del progetto PETACom
Parole chiave
PETACom, fullerene, molecola, carbonio, elettrone, interruttore, laser, computer