Rigenerare il flusso sanguigno grazie al nostro approvvigionamento di cellule staminali
In Europa sono oltre 30 000 ogni anno i pazienti che ricevono trapianti di cellule staminali. Come accade per ogni tipo di trapianto, tuttavia, sussiste una persistente carenza di donatori idonei. Il progetto UNEXPECTED, sostenuto dal Consiglio europeo della ricerca, ha affrontato questo problema di lunga data approfondendo le possibili modalità di crescita delle cellule staminali al di fuori del corpo umano. Secondo quanto affermato da Jonas Larsson, il coordinatore del progetto, oltre che costituire un trattamento per i tumori del sangue, il trapianto di cellule staminali sta diventando una terapia più sofisticata. «L’editing del genoma offre possibilità di correggere le malattie genetiche attraverso l’impiego delle cellule staminali. Se si è in grado di effettuare correzioni a livello di cellula staminale, si potrebbe riuscire a correggere l’intero sistema.» Tuttavia, per garantire il successo e la sostenibilità di questo strumento terapeutico, è necessario moltiplicare la disponibilità delle nostre risorse di cellule staminali. Il problema in tal senso dipende dal fatto che le cellule staminali sviluppate in coltura maturano e si differenziano rapidamente, perdendo le proprietà benefiche che le caratterizzano. «Si tratta di una vera sfida. Le cellule staminali trapiantate sono dotate di un potenziale enorme, ma non appena si trovano in una piastra di coltura iniziano a perderlo», aggiunge Larsson. Lavorando all’interno di un team di ricercatori presso l’Università di Lund, Larsson si era posto l’obiettivo di individuare le principali reti regolatorie che mantengono le cellule staminali in uno stato indifferenziato.
Screening genico
Per scoprirle, Larsson e i suoi colleghi hanno esposto cluster di cellule staminali a particelle virali portatrici di inibitori genici alimentati da RNAi e CRISPR. Ciascuna di queste particelle ha infettato una cellula, bersagliando un unico gene, e ha lasciato un’etichetta molecolare indicativa. «Lo strumento di screening è in un certo senso semplice, poiché il percorso standard di queste cellule è la differenziazione», spiega Larsson. «Tutto ciò che dobbiamo fare è cercare le cellule che non si sono differenziate e scoprire che tipo di perturbazione genetica abbia consentito loro di mantenere il loro potenziale.» Il processo ha identificato più di una dozzina di geni di interesse la cui espressione, o il cui silenziamento, potrebbe aiutare le cellule staminali a resistere al processo di differenziazione. Per i geni facenti parte di vie di segnalazione note, Larsson e il suo team sono ricorsi a inibitori farmaceutici disponibili in commercio che potrebbero perturbare la loro attività. L’obiettivo finale del progetto non è quello di modificare i geni delle cellule staminali, ma di elaborare un protocollo in grado di impedire la loro differenziazione durante la coltura. Questi agenti farmaceutici vengono poi rimossi dalle cellule prima che sia effettuato il trapianto delle stesse. Per garantire che avessero mantenuto il loro potenziale, Larsson ha anche trapiantato le cellule staminali coltivate in alcuni esemplari murini. «I marcatori di superficie sulle cellule staminali indicano il loro potenziale, ma per dimostrarlo in modo indubbio è necessario mettere in evidenza la loro capacità di rigenerare il sangue in un individuo sottoposto a trapianto», afferma.
Indizi sul cancro
I risultati ottenuti da Larsson e i suoi colleghi sono sinora stati promettenti e il gruppo ha pubblicato diversi articoli sulla ricerca. Il team ha individuato diversi geni che impediscono la crescita in coltura delle cellule staminali, che possono essere resi inerti dagli inibitori farmaceutici. Il lavoro ha inoltre determinato il ruolo svolto da vari geni nelle cellule tumorali. «Una cellula staminale in espansione è in una certa misura equivalente a una cellula cancerosa: entrambe sono dotate di un potenziale di crescita illimitato, per cui alcuni di questi geni rivestono un’importanza cruciale nei tumori e, in particolare, in quelli del sangue», osserva Larsson. «Questo risultato non faceva parte dell’obiettivo originale, ma ha rappresentato un’entusiasmante conseguenza.» Larsson sta ora valutando vari bersagli tra quelli individuati dal team in modo più rigoroso, così da verificarne la possibile integrazione sicura nelle sperimentazioni cliniche. Inoltre, grazie agli screening RNAi il gruppo ha identificato diversi identificatori univoci che si augura di commercializzare.
Parole chiave
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