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Stimuli-Responsive Two-Dimensional Materials for Renewable Energy

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I materiali bidimensionali regolabili confermano una teoria premiata con il Nobel

Il teorema formulato 65 anni fa per descrivere diversi processi chimici, come ad esempio la fotosintesi, è stato dimostrato con l’aiuto di stratificazioni atomicamente sottili di nitruro di boro e grafite.

Le eterostrutture sono pile di fogli bidimensionali composte da grafene e altri cristalli che, mediante l’impiego di forze di van der Waals (vdW, van der Waals), possono essere legate a substrati tridimensionali allo scopo di creare nuovi materiali dotati di eccezionali proprietà a livello elettrochimico. Il progetto 2DMAT4ENERGY, ospitato dall’Università di Manchester, si è prefisso di ingegnerizzare eterostrutture vdW di materiali bidimensionali caratterizzati da proprietà elettrochimiche regolabili, una soluzione che si configura come una strada promettente per applicazioni nel campo dell’energia rinnovabile. La ricerca è stata intrapresa con il sostegno del programma di azioni Marie Skłodowska-Curie. «Le proprietà elettrochimiche delle forze di vdW non sono state tuttora sfruttate, un problema dovuto in parte al fatto che gli elettrochimici utilizzano raramente i metodi di cui si avvalgono i fisici dello stato solido, tecniche che hanno dominato il mondo dei materiali 2D», spiega Matěj Velický, il coordinatore del progetto 2DMAT4ENERGY.

La teoria di Marcus-Hush

Il progetto ha condotto una serie di misurazioni sperimentali allo scopo di colmare alcune delle lacune di conoscenza ancora presenti nella scienza fondamentale dei materiali bidimensionali. A tal fine, è stata impiegata la litografia a fascio di elettroni per fabbricare un’eterostruttura vdW con passaggio di elettroni a effetto tunnel composta da nitruro di boro esagonale e grafite. «In questo modo è stato possibile dimostrare sperimentalmente ciò che aveva previsto la teoria di Marcus-Hush sul trasferimento degli elettroni, che al tempo era stata premiata con il Nobel, ma la cui tesi non era stata verificata. Si è trattato di un esaltante traguardo in termini professionali, dato che questa teoria rappresenta uno dei pilastri dell’elettrochimica moderna», osserva Velický. Il progetto ha inoltre compiuto in importante passo avanti nella preparazione di aggregati della dimensione di un centimetro composti da disolfuro di molibdeno monostrato (MoS2, Monolayer Molybdenum Disulfide) applicato su substrato in oro, tenuti insieme da potenti forze di vdW. Grazie all’utilizzo della spettroscopia Raman, della spettroscopia fotoelettronica a raggi X e dell’elettrochimica, il team ha dimostrato che le proprietà elettroniche dell’MoS2 possono essere regolate con efficacia dall’oro sottostante. Al contrario, la chimica superficiale dell’oro viene alterata dall’MoS2 con uno spessore inferiore al nanometro. «Queste caratteristiche potrebbero portare alla realizzazione di eterostrutture utili per la modifica degli elettrodi, per uno stoccaggio dell’energia a capacità ultra-elevata e per applicazioni di rilevamento», aggiunge Velický. «Ciò agevolerebbe il compito dei dispositivi per l’energia rinnovabile di stoccare energia per un’approvvigionamento di elettricità basato sulla richiesta, compensando la natura intermittente propria delle fonti rinnovabili, quali quelle eoliche o solari».

Prove di stress

L’aspetto più difficile del progetto ha riguardato la comprensione dell’impatto esercitato sulle eterostrutture da stimoli esterni, come il campo elettrico e la sollecitazione meccanica. La manipolazione di questo impatto consente agli ingegneri di «regolare» le proprietà delle eterostrutture in base alle necessità, rendendole utilizzabili per le applicazioni bersaglio. Per effettuare gli esperimenti il team si è avvalso del gating elettrolitico a matrice elettrochimica, un modo efficace per controllare la carica elettrica in un materiale, che ha permesso di alterare le proprietà ottiche ed elettroniche delle eterostrutture. La sollecitazione meccanica è stata analizzata sia ingegnerizzando un substrato mediante l’applicazione di una tensione idonea (creata da un’intenzionale mancata corrispondenza del reticolo tra il substrato e i materiali bidimensionali), sia realizzando un legame per il supporto su cui i materiali bidimensionali erano applicati. I risultati sono già stati adottati da vari laboratori in tutto il mondo. Velický aggiunge: «Nel lungo periodo, alcuni elementi di questa ricerca potrebbero accelerare la miniaturizzazione delle soluzioni per lo stoccaggio dell’energia e il rilevamento su microscala e nanoscala, consentendo di realizzare tecnologie portatili, personalizzate e sostenibili». Il team sta attualmente continuando a concentrare l’attenzione sulla regolazione di materiali bidimensionali applicati a substrati per applicazioni nel settore dell’elettrocatalisi, come le reazioni di evoluzione dell’idrogeno e riduzione dell’ossigeno impiegate nelle celle a combustibile.

Parole chiave

2DMAT4ENERGY, nano, grafene, van der Waals, eterostruttura, energia rinnovabile, elettrocatalitico, Marcus-Hush, Nobel, elettrochimica

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