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Contenuto archiviato il 2024-06-18

Exploring Functional and Developmental Osteoclast Heterogeneity in Health and Disease

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Una cellula gigante mangiatrice di ossa fornisce indizi sulle ossa fragili e altri disturbi

La comprensione di una super-cellula che degrada l’osso aiuterà a sviluppare terapie per le malattie ossee comuni nelle popolazioni anziane.

Le malattie correlate alle ossa sono la causa più comune di dolore grave a lungo termine e di una ridotta qualità della vita per milioni di persone. Tra queste ci sono l’osteoporosi, la parodontite e l’artrite reumatoide: il numero di persone che soffrono di tali condizioni è destinato ad aumentare considerevolmente con l’invecchiamento della popolazione europea. Il progetto EUROCLAST (Exploring Functional and Developmental Osteoclast Heterogeneity in Health and Disease), finanziato dall’UE, ha riunito oltre 30 specialisti, tra cui circa una dozzina di dottorandi di 7 istituzioni e 2 aziende, per esaminare le cellule note come osteoclasti. Queste cellule sono responsabili della degradazione ossea, importante per il rinnovo e la riparazione dello scheletro. La maggior parte delle cellule del corpo presenta un solo nucleo, ma alcune cellule mononucleate si fondono per formare cellule osteoclastiche super-grandi che si attaccano ai tessuti mineralizzati, quali l’osso, e li digeriscono. «Tutti i tessuti mineralizzati possono essere digeriti da questa cellula», spiega Vincent Everts, coordinatore del progetto, un professore da poco andato in pensione alla Vrije Universiteit di Amsterdam nei Paesi Bassi. Indagando sulle cellule precursori note come monociti, che si fondono a formare osteoclasti, «abbiamo scoperto che gli osteoclasti differiscono a seconda dell’osso che digeriscono o degradano. Ad esempio, esiste un osteoclasto associato all’osso del cranio e uno funzionalmente diverso associato alle ossa lunghe del braccio o della gamba», sostiene il professor Everts. Ciò è importante per comprendere gli effetti degli osteoclasti in diversi stati patologici, che si verificano in diversi siti scheletrici nel corpo. L’attività osteoclastica Quando sono attaccati al tessuto osseo, gli osteoclasti abbassano il pH esterno (acidità), provocando la dissoluzione del minerale (fosfato di calcio). Questo processo è seguito dalla secrezione di un certo numero di enzimi che digeriscono le proteine nell’osso. Una eccessiva attività degli osteoclasti può provocare una riduzione della densità ossea e una fragilità come, ad esempio, quella caratteristica dei pazienti con osteoporosi. Al contrario, una diminuita attività osteoclastica si traduce in un’elevata densità ossea, come osservato nella malattia nota come osteopetrosi, in cui l’osso diventa più denso e si indurisce. «Anche se rara, molti importanti regolatori dell’attività degli osteoclasti sono stati identificati studiando questa terribile malattia», afferma il professor Everts. I ricercatori sono stati in grado di visualizzare questo tipo di cellula utilizzando nuovi tipi di microscopi elettronici utilizzati in altri campi che, in effetti, tagliano la cella in un gran numero di sezioni producendo una serie di micrografie. «In precedenza non siamo mai stati in grado di visualizzare l’interno della cella in modo così dettagliato, ma ora vediamo cosa succede in diverse posizioni nel suo interno», afferma. I ricercatori hanno sviluppato un sistema di etichettatura metabolica per monitorare i movimenti e il funzionamento delle molecole e delle strutture intracellulari all’interno della cellula gigante, fornendo informazioni su come si verifica la degradazione ossea e su quali parti della cellula sono attivamente implicate in questa digestione. Saggi e scoperta cellulare Sono stati sviluppati saggi speciali per analizzare l’attività degli osteoclasti nel siero umano, dal sangue prelevato da pazienti, studiando gli enzimi espressi esclusivamente da questi osteoclasti. Questa tecnica specifica di analisi enzimatica è oggi commercializzata per uso diagnostico. La ricerca del gruppo ha anche contribuito alla scoperta di cellule che assomigliano agli osteoclasti. «L’osteoclasto è molto difficile da coltivare e non può essere tenuto in vita per molto tempo», spiega il prof. Everts, «ma se si ha una cellula che assomiglia all’osteoclasto, è possibile studiare l’attività simile a quella degli osteoclasti e l’effetto di inibitori su queste cellule o, in alternativa, l’effetto di composti stimolanti, fornendo così strumenti per indagare in dettaglio su come tali cellule funzionino in condizioni normali e patologiche». Tali approfondimenti potrebbero aprire la strada a nuovi strumenti e terapie diagnostiche.

Parole chiave

EUROCLAST, osteoclasto, salute, osteoporosi, artrite, parodontite, biologia cellulare

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