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The neuroenergetics of memory consolidation – hybrid PET/MR imaging of the default mode network

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Una ricerca rivela nuovi indizi sul consumo di energia delle menti «a riposo»

La sezione del nostro cervello nota per essere attiva quando sogniamo a occhi aperti costituisce un aspetto intrigante. Alcuni ricercatori finanziati dall’UE hanno dimostrato che, sebbene questa regione appaia meno attiva nella risonanza magnetica per immagini, effettivamente consuma più energia di altre parti del cervello.

La rete di modalità predefinita è un’importante rete cerebrale che diventa estremamente attiva durante il riposo, quando non interagiamo con l’ambiente circostante, e si disattiva durante il coinvolgimento attivo. La ricerca su questo fenomeno si è basata per lo più sulle classiche tecniche per immagini quali la risonanza magnetica funzionale (fMRI). L’ipotesi formulata dal progetto SUGARCODING, finanziato dall’UE, è che durante questi stati di riposo che richiedono energia, il cervello consolidi i ricordi recenti. «Per esaminare questo aspetto, abbiamo quantificato il metabolismo energetico del cervello sia a riposo che durante il processo mnemonico», osserva Valentin Riedl, coordinatore del progetto. «Ciò è possibile grazie a un nuovo metodo di imaging cerebrale che abbiamo sviluppato di recente e che ci permette di misurare il metabolismo dell’ossigeno, la nostra principale fonte di energia che alimenta le funzioni di segnalazione e gestione del cervello.»

Rete di modalità predefinita durante la concentrazione su attività esterne

Il team del progetto ha combinato fMRI e imaging quantitativo della tomografia a emissione di positroni (PET) utilizzando uno scanner PET/RM avanzato. Ciò ha permesso di associare le misurazioni fMRI al consumo assoluto di energia registrato dalla PET. «I nostri risultati hanno dimostrato che le regioni cerebrali con una maggiore connettività funzionale, ossia con una maggiore interazione con altre regioni, mostrano un maggiore consumo energetico», spiega Riedl. È interessante notare che le regioni cerebrali evolutivamente più recenti tendono a consumare più energia, fatto che abbiamo attribuito ai processi di segnalazione chimica più lenti che coinvolgono neurotrasmettitori quali la dopamina e la serotonina.» Questi risultati hanno permesso ai ricercatori di confermare che la fMRI può catturare efficacemente i notevoli costi energetici associati alla connettività cerebrale. L’attività del progetto è riportata a questo link.

Cervello occupato durante il riposo in stato di veglia

I ricercatori hanno quindi cercato di stabilire se effettivamente la rete di modalità predefinita consumi più energia durante il riposo in stato di veglia, come suggerito da precedenti studi di fMRI. «I nostri risultati sono stati sconcertanti. Una diminuzione del segnale fMRI proveniente dalla rete di modalità predefinita, tipicamente interpretata come segno di ridotta attività neuronale, è stata collegata a un maggiore consumo di energia nella maggior parte delle regioni cerebrali», spiega Riedl. «Abbiamo quindi concluso che le variazioni di flusso sanguigno nella corteccia possono distorcere le letture fMRI. In particolare, le regioni della rete di modalità predefinita che appaiono meno attive nelle scansioni fMRI sono in realtà metabolicamente più attive a causa di variazioni inaspettate nel flusso sanguigno.» Per anni è stato ampiamente accettato il fatto che, nell’imaging cerebrale mediante risonanza magnetica, un segnale fMRI elevato indicasse un aumento dell’attività neuronale, mentre un segnale basso indicasse una minore attività. Questa ipotesi si basa innanzitutto su ricerche precedenti condotte su aree sensoriali del cervello. Tuttavia, la ricerca SUGARCODING ha contestato questa interpretazione avvalendosi di un sistema avanzato di imaging cerebrale multimodale, che prevede metodi di misurazione del metabolismo energetico assoluto. Il team del progetto ha scoperto che i segnali fMRI non funzionano in modo uniforme in tutto il cervello. «Determinate regioni del cervello hanno strutture vascolari e schemi di flusso sanguigno differenti che possono alterare in modo imprevedibile i risultati della fMRI», aggiunge Riedl. Questi risultati evidenziano l’importanza di tenere conto di queste variazioni quando si interpreta l’attività cerebrale dai dati fMRI.

L’invecchiamento o le malattie neurodegenerative possono alterare l’interpretazione della fMRI

Il manoscritto di quest’ultima attività progettuale è attualmente in fase di revisione. Nel documento viene sottolineata la cautela necessaria per interpretare i segnali fMRI, in particolare quando si confrontano regioni cerebrali diverse o si analizzano persone con vascolarizzazione cerebrale variabile. «Per esempio, le variazioni della vascolarizzazione cerebrale, come quelli che si verificano con l’invecchiamento o in presenza di malattie neurodegenerative, possono influenzare notevolmente l’interpretazione dei dati fMRI. Ciò mette in evidenza la necessità di incorporare informazioni aggiuntive sul flusso sanguigno corticale per collegare più accuratamente le variazioni dei segnali fMRI all’attività neuronale», conclude Riedl.

Parole chiave

SUGARCODING, fMRI, rete di modalità predefinita, attività neuronale, flusso sanguigno, riposo in stato di veglia, vascolarizzazione

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