Il ruolo delle nuvole nei cambiamenti climatici
È noto sin dagli anni Settanta che le nubi svolgono un ruolo importante dal punto di vista climatico, risultando inoltre fondamentali nell’affrontare le sfide che ostacolano la precisione della modellizzazione e della previsione del clima e dei cambiamenti climatici. «Non è possibile quantificare il volume di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra (GES) necessario per limitare il riscaldamento globale al di sotto di un certo valore, se non si è a conoscenza di quanto la temperatura terrestre sia sensibile a un determinato aumento nella concentrazione di tali GES», afferma Sandrine Bony, coordinatrice del progetto EUREC4A, che è stato finanziato dal Consiglio europeo della ricerca. Grazie allo svolgimento di esperimenti senza precedenti a livello mondiale, EUREC4A ha approfondito sia il ruolo svolto dalla convezione e dalla circolazione nella risposta delle nuvole ai cambiamenti climatici sia quello rivestito dal processo conosciuto come aggregazione convettiva.
La complessità della retroazione delle nubi
EUREC4A ha preso ispirazione dalle discussioni scientifiche che hanno avuto luogo in relazione alla Grande sfida su nubi, circolazione e sensibilità climatica del Programma mondiale di ricerca sul clima, in cui Bony ha ricoperto il ruolo di co-coordinatrice per oltre un decennio. Sulla base di quanto era stato suggerito dai modelli climatici, la risposta delle nuvole al riscaldamento controlla in modo significativo la sensibilità delle temperature terrestri ai cambiamenti nelle concentrazioni di GES. Particolarmente incerte, tuttavia, erano risultate le modalità con cui rispondevano i piccoli nembocumuli più bassi, come ad esempio quelli presenti nelle regioni degli alisei tropicali. Un’indicazione che ha consentito di spiegare la risposta più decisa è stata fornita dall’ipotesi nota con il nome di «miscelazione-essiccamento», secondo la quale con l’innalzamento delle nubi si verifica un conseguente abbassamento di aria più secca (per l’appunto, una «miscelazione»). Ciò a sua volta secca («essicca») lo strato di nubi più basso, riducendo la copertura nuvolosa complessiva e limitando in tal modo la riflessione della luce solare. «Sebbene questo comportamento sia fondamentale per la comprensione dei cambiamenti climatici, le difficoltà associate all’osservazione diretta hanno comportato l’impossibilità di verificare l’ipotesi in situ e incertezze significative in relazione alla modellizzazione», spiega Bony, direttrice della ricerca presso il Centro nazionale francese per la ricerca scientifica, l’organizzazione che ha ospitato il progetto.
I primi esperimenti sul campo confutano l’ipotesi
Gli esperimenti sul campo hanno avuto luogo nell’Oceano Atlantico tropicale occidentale, in prossimità delle Barbados, all’inizio del 2020. Per l’osservazione delle nuvole, dell’atmosfera e dello strato superiore dell’oceano su scale dalla microscopica alla sinottica sono stati dispiegati quattro aeromobili, quattro navi e numerosi droni aerei e subacquei. Per la prima volta, il team ha misurato la superficie delle nubi alla base del loro strato mediante l’impiego di un lidar e radar «rivolto orizzontalmente» montato su velivolo. Un’altra novità assoluta è stata rappresentata dalla misurazione del lento movimento verticale dell’aria su mesoscala effettuata tramite 800 radiosonde a paracadute, il che ha consentito di generare stime del flusso di massa convettivo e, conseguentemente, della miscelazione verticale. Il team ha scoperto che la «miscelazione» non secca lo strato di nubi più basso e, pertanto, non riduce la quantità di nuvole presenti in prossimità della loro base. In effetti, uno stretto accoppiamento tra le nuvole e i moti convettivi, congiuntamente alle circolazioni atmosferiche su mesoscala, contrasta l’effetto della miscelazione sull’umidità. «Le nubi sono sospinte a livello dinamico dalle circolazioni su piccola scala in modo più intenso rispetto a quanto non lo siano in termini termodinamici dalle variazioni di umidità. Poiché i modelli climatici che prevedono la più intensa amplificazione del riscaldamento globale da parte dei nembocumuli più bassi solitamente prevedono l’opposto, ciò suggerisce che le loro ipotesi in merito alle risposte delle nuvole erano inesatte», aggiunge Bony.
L’agglomerazione delle nubi
Le nuvole più basse al di sopra degli oceani subtropicali ad acque calde presentano un’ampia varietà di disposizioni spaziali che, tuttavia, non sono ancora mai state caratterizzate. EUREC4A ha sviluppato una classificazione delle forme più caratteristiche, innanzitutto a partire da un’analisi visiva delle immagini satellitari e, successivamente, impiegando radianze satellitari. Le nubi spesse possono inoltre accumularsi tra loro e formare aggregazioni. Secondo quanto rivelato da EUREC4A, esse interagiscono con la temperatura e la radiazione della superficie marina e si ripercuotono di conseguenza sul clima su scala planetaria, influenzando altresì l’ampiezza della cintura relativa alle piogge tropicali e quella delle precipitazioni estreme. «I nostri risultati hanno stimolato un nuovo campo di ricerca sui processi fisici alla base di diversi meccanismi, fornendo al contempo un punto di riferimento per la valutazione dei modelli numerici», sottolinea Bony. Il team intende ora acquisire una migliore comprensione dei processi fisici che guidano l’organizzazione della convenzione (superficiale e profonda) su scala mesometrica, nonché il loro potenziale cambiamento in condizioni di riscaldamento globale. «Numerosi studi di modellizzazione stanno affrontando questa problematica, ma non dispongono di dati osservazionali: è questa ora la mia priorità di ricerca», conclude Bony.
Parole chiave
EUREC4A, cambiamenti climatici, nubi, radiazione, convezione, precipitazioni, Terra, sensibilità, aliseo, nembocumulo, gas a effetto serra