Avvicinarsi alla commercializzazione di celle solari in perovskite
Le celle solari in perovskite costituiscono una tecnologia rivoluzionaria innovativa che potrebbe segnare un importante passo avanti nell’ambito dell’energia verde. Il settore fotovoltaico è attualmente dominato dalla tecnologia basata sul silicio; eppure, le celle solari a base di perovskite, ossia una famiglia di cristalli artificiali, potrebbero cambiare radicalmente tale paradigma e, potenzialmente, raggiungere un livello di efficienza più elevato a una frazione del costo. Le celle fotovoltaiche in perovskite utilizzano uno strato estremamente sottile di materiale semiconduttore e attualmente dimostrano prestazioni del 25,7 %, non distante dal 26,7 % ottenuto dal silicio nell’arco degli ultimi sessant’anni di ricerca e sviluppo, un traguardo che la perovskite ha tagliato in appena un decennio. Se da un lato questo tipo di celle solari è diventato particolarmente efficiente in così breve tempo, dall’altro permangono diversi ostacoli che ne impediscono l’affermazione come tecnologia solare competitiva sui mercati commerciali. Uno dei problemi principali risiede nella suscettibilità della perovskite ai danni ambientali e nella sua tendenza a degradarsi. Allo scopo di proteggere le celle solari, i ricercatori le ricoprono di materiali bidimensionali noti come dicalcogenuri dei metalli di transizione, strati semiconduttori dello spessore di un atomo realizzati in materiali simili al grafene. Questi potenziano la stabilità e le prestazioni delle celle solari, migliorando la comunicazione elettrica. «Ciò a sua volta aumenta la tensione e quindi le prestazione del dispositivo», afferma Shahzada Ahmad, professore presso BCMaterials, dell’Università dei Paesi Baschi. Tuttavia, questi materiali bidimensionali mostrano una scarsa conduttività verticale; pertanto, non è possibile impiegarli in strati multipli per la creazione di celle solari in perovskite stabili e ad alta efficienza.
La discesa in campo dello strato intermedio e di molecole innovative
Durante il progetto SMILIES, finanziato dall’UE, Ahmad e i suoi colleghi si sono adoperati per ovviare a questo problema, utilizzando molecole per colmare il divario della connettività elettrica e migliorare la conduttività verticale. «Inseriamo uno strato dello spessore di pochi atomi che collochiamo sulla perovskite. Così facendo, si riduce al minimo la barriera energetica e l’accumulazione di carica in corrispondenza dell’interfaccia, allo scopo di intensificare l’estrazione di cariche e migliorare le dinamiche di trasferimento delle cariche», spiega Ahmad, coordinatore del progetto SMILIES. Questa attività di ricerca è stata intrapresa grazie al sostegno del programma di azioni Marie Skłodowska-Curie.
Collaudare il nuovo strato di molecole
Tramite il progetto SMILIES, il gruppo ha eseguito varie sperimentazioni della sua nuova tecnologia, migliorando al contempo la stabilità delle celle solari e lavorando per abbassare i costi complessivi. «I risultati di laboratorio relativi alle sperimentazioni sono piuttosto positivi e riproducibili», osserva Ahmad. «Abbiamo inoltre pubblicato un documento di protocollo, liberamente disponibile, affinché chiunque possa riprodurre il lavoro e apprendere la modalità di fabbricazione delle celle solari.» Il gruppo ha anche esaminato i meccanismi operativi del dispositivo, avvalendosi della spettroscopia di ammettenza, un metodo di misurazione del trasferimento della carica. Inoltre, è stato impiegato l’apprendimento automatico per prevedere in che modo avrebbero funzionato le perovskiti, così come i nuovi strati. Nel complesso, i traguardi raggiunti hanno confermato la possibilità di migliorare l’affidabilità delle celle in perovskite, misurata in presenza di condizioni reali.
Una tecnologia versatile
«Le celle solari in perovskite utilizzano una piccolissima quantità di materiale», aggiunge Ahmad. «Lo spessore del dispositivo è inferiore a un micron, e quello della perovskite è quasi 500 nm. È possibile depositare le perovskiti da una soluzione per produrle a costi di sviluppo e fabbricazione minori.» Ciò significa che questo materiale può persino essere convertito in inchiostro, stampato con la tecnologia di stampa tradizionale, intrecciato nei tessuti oppure aggiunto ai materiali di costruzione. Ahmad continuerà a lavorare sulla tecnologia con il sostegno di una sovvenzione del Consiglio europeo della ricerca. «Ci stiamo occupando di ottimizzare l’interfaccia con vari materiali innovativi diversi dal grafene. L’interfaccia è un elemento molto importante poiché rappresenta il “cuore” di qualunque dispositivo elettrico», dichiara.
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