Scienziati gettano luce sui meccanismi difensivi delle piante
I risultati di una nuova ricerca finanziata dall'Unione europea hanno messo in evidenza che sebbene tutte le piante si difendano dai propri "nemici", sono ravvisabili differenze tra le specie e all'interno delle specie stesse per quanto concerne l'efficacia dei metodi prescelti. Gli scienziati, coordinati dall'Istituto Max Planck di biologia evolutiva (Germania), hanno scoperto che è possibile che quando una pianta soccombe a un'infezione batterica, le piante circostanti resistono piuttosto bene. Tuttavia, anche la resistenza alle malattie ha un prezzo. I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista Nature. Questa ricerca è stata promossa mediante tre progetti finanziati dal Sesto programma quadro (6° PQ) dell'Unione europea: SY-STEM ("Systems biology of stem cell function in Arabidopsis thaliana (A. thaliana)"), che ha ricevuto 2,43 milioni di euro dal programma dedicato alla mobilità Marie Curie Research Training Networks (RTN), AGRON-OMICS ("Arabidopsis growth network integrating OMICS technologies"), a favore del quale sono stati stanziati 22 milioni di euro nell'ambito dell'area tematica "Scienze della vita, genomica e biotecnologie per la salute" e ARABRAS ("Identifying relevant candidate genes for improving plant growth under abiotic stress conditions in Brassica crops"), che ha ricevuto quasi 900.000 euro in riferimento alla parte di ERA-NET (European Research Area Network, rete dello spazio europeo di ricerca) dedicata alla genomica delle piante. Le piante hanno svariati modi per difendersi, posso sviluppare aculei, produrre odori sgradevoli o addirittura attivare il proprio sistema immunitario per tenere lontani virus e batteri. Gli scienziati hanno però scoperto che le specie vegetali con una maggiore resistenza alle malattie crescono a un ritmo più lento e presentano un maggiore grado di passività quando non sono sotto attacco diretto, se paragonate ad animali e microbi. Per esempio, l'A. Thaliana - conosciuta come Arabetta comune - produce solo alcune foglie e diventa, in un certo senso, più "pigra" quando non ha nemici contro cui combattere. Insieme ai suoi colleghi, il professor Detlef Weigel del Dipartimento di biologia molecolare dell'Istituto Max Planck di biologia evolutiva ha identificato una variante dell'ACD6 (accelerated cell death 6), un gene che riveste un'importanza cruciale dal punto di vista difensivo. Il gene, infatti, conferisce alle piante gli strumenti di cui necessita per meglio resistere. Nello specifico, la variante scoperta stimola i vegetali a produrre quantità più ingenti di sostanze chimiche letali in grado di uccidere i microbi e molecole di segnalazione che rafforzano il sistema immunitario. "Sfruttando l'unione di analisi mutuate dalla genetica diretta e dallo studio di associazione dell'intero genoma, abbiamo dimostrato che la diversità allelica di un singolo locus, ACD6, è alla base di notevoli differenze pleiotropiche sia per quanto concerne la crescita vegetale che per quanto riguarda la resistenza alle infezioni batteriche e all'erbivoria in diversi ceppi dell'A. thaliana", scrivono i ricercatori. Secondo i risultati ottenuti, un allele iperattivo del gene ACD6 (una variante di un gene situato in una posizione specifica su un cromosoma specifico) migliora la resistenza a diversi patogeni che colpiscono le piante, ma rallenta la produzione di nuove foglie e riduce la biomassa delle foglie mature. "Abbiamo avuto modo di dimostrare che questo gene rende le piante resistenti agli agenti patogeni, ma che al contempo rallenta la produzione di foglie e ne limita le dimensioni. In questo modo le piante sono sempre più piccole di quelle che non presentano questa variante", ha spiegato il professor Weigel, co-autore dello studio. "Ma non appena vengono attaccate, le piante contraddistinte dalla variante ACD6 sono avvantaggiate rispetto alle piante che presentano la versione standard. Negli anni caratterizzati da un numero inferiore di attacchi e in luoghi in cui i potenziali attacchi sono scarsi sono però penalizzate rispetto alle piante più grandi. Secondo gli scienziati le piante più piccole producono meno semi, un caratteristica che alla fine può tradursi in una progenie più ridotta. "Proprio come accade nella nostra società, nulla è gratuito in natura", conclude il professor Weigel. Partecipano allo studio anche ricercatori provenienti da Australia, Austria, Germania, Regno Unito e Stati Uniti.
Paesi
Austria, Australia, Germania, Regno Unito, Stati Uniti