Enzima nei leucociti riesce a degradare i nanotubi di carbonio
Uno studio sui nanotubi di carbonio, condotto da scienziati in Irlanda, Svezia e Stati Uniti e finanziato dall'UE, ha dimostrato che queste molecole straordinariamente forti possono essere suddivise in carbonio e acqua da un enzima presente nei globuli bianchi. La scoperta, pubblicata sulla rivista Nature Nanotechnology, lascia sperare che questo nuovo materiale possa essere sfruttato in modo sicuro dal settore medico e industriale. I risultati sono stati ottenuti nell'ambito del progetto NANOMMUNE ("Comprehensive assessment of hazardous effects of engineered nanomaterials on the immune system"), finanziato dall'UE con 3,36 milioni di euro attraverso il tema NMP (Nanoscienze, nanotecnologie, materiali e nuove tecnologie di produzione) del Settimo programma quadro (7° PQ). I nanotubi di carbonio sono molecole di carbonio cilindriche, più leggere e più forti dell'acciaio e dotate di proprietà elettriche eccezionali. Sono utilizzati in diversi settori industriali, per esempio nella produzione di chip di silicio, dispositivi elettronici e articoli sportivi. I nanotubi di carbonio vengono prodotti in grandi quantità (con conseguenze per la salute sul lavoro) e vengono anche utilizzati per lo sviluppo di nuovi farmaci e di altre applicazioni mediche. Il loro comportamento all'interno degli organismi viventi è, quindi, oggetto di molti studi. I ricercatori coinvolti nel progetto NANOMMUNE stanno cercando di colmare le lacune nella nostra conoscenza degli effetti potenzialmente pericolosi dei nanomateriali ingegnerizzati sul sistema immunitario umano. "Studi precedenti hanno mostrato che i nanotubi di carbonio potrebbero essere utilizzati per introdurre farmaci o altre sostanze nelle cellule umane", ha spiegato il dottor Bengt Fadeel dell'Istituto di medicina ambientale presso il Karolinska Institutet in Svezia. "Il problema finora era l'incapacità di controllare la scomposizione dei nanotubi, che può provocare effetti tossici indesiderati e danni ai tessuti. Il nostro studio mostra ora come i nanotubi possono essere suddivisi in componenti biologicamente innocui". Recenti esperimenti sui topi hanno dimostrato che gli animali esposti a nanotubi di carbonio tramite inalazione o attraverso l'iniezione nella cavità addominale, non sono in grado di scomporre il materiale. Ciò causa gravi infiammazioni e modifiche dei tessuti, che a loro volta compromettono la funzionalità polmonare e in alcuni casi favoriscono lo svilupparsi di tumori. Questa "biopersistenza" è stata paragonata a quella dell'amianto; si è ripetutamente cercato di scoprire modi per neutralizzare la tossicità di questo materiale ingegnerizzato. I ricercatori hanno analizzato gli effetti di un enzima chiamato mieloperossidasi (MPO) - che si trova nei globuli bianchi (neutrofili) - sui nanotubi di carbonio, sia in vitro che nei topi. Hanno scoperto che l'enzima può davvero scomporre i nanotubi in carbonio e acqua. Una volta ripartiti cessavano di avere un effetto infiammatorio nei polmoni dei topi. "Ciò significa che potrebbe esserci un modo per rendere inoffensivi i nanotubi di carbonio, ad esempio nel caso di un eventuale incidente in un impianto di produzione", ha detto il dottor Fadeel. "Ma i risultati sono interessanti anche per il futuro uso dei nanotubi di carbonio per scopi medici". I ricercatori hanno ipotizzato che l'infiammazione polmonare nei topi esposti a nanotubi di carbonio possa essere legata alle alte concentrazioni utilizzate, che potrebbero avere sopraffatto la capacità di biodegradazione del sistema enzimatico dei neutrofili. La nuova concezione della biodegradazione hMPO-mediata di questo materiale promettente apre la strada all'uso in applicazioni biomediche, quali la produzione di farmaci, "se usato in concentrazioni appropriate e facilmente degradabili". Il progetto NANOMMUNE è coordinato dal dottor Fadeel e coinvolge 13 gruppi di ricerca in Europa e negli Stati Uniti.
Paesi
Irlanda, Svezia