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Decoding memory processing from experimental and spontaneous human brain activity using intracranial electrophysiological recordings and machine learning based methods.

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Eccezionale accesso ai pazienti con impianti intracranici permette di intuire come si formano i ricordi

Si sa molto poco su come il cervello memorizza le informazioni per un successivo recupero e utilizzo, nonostante il fatto che questo sia fondamentale per la funzione cognitiva. Una migliore comprensione del processo potrebbe potenziare la ricerca sulla disfunzione della memoria in malattie degenerative, quali ad esempio le demenze correlate all’età.

Il lavoro effettuato dalla dott.ssa Jessica Schrouff nell’ambito del progetto DecoMP_ECoG ha esaminato il modo in cui si formano i ricordi. La ricerca ha utilizzato registrazioni elettrofisiologiche intracraniche effettuate sulla superficie del cervello umano per studiare codifica, recupero e consolidamento di informazioni in categorie specifiche. Risulta difficile studiare direttamente il modo in cui si formano i ricordi. Come spiega la dott.ssa Schrouff: «Generalmente i soggetti guardano alcuni materiali, e successivamente un ricercatore mette alla prova la loro conoscenza degli stessi. Tuttavia, quando esattamente si è formato il ricordo? In che modo è stata costruita una rappresentazione dei materiali nel cervello e dove? Queste domande sono state perlopiù studiate indirettamente negli esseri umani, ad esempio quando le persone si ricordavano dei materiali». «Durante il mio dottorato, ho esaminato queste domande usando la risonanza magnetica funzionale per immagini (fMRI), ma la risoluzione temporale era bassa (6-12 secondi). A Stanford, ho avuto la possibilità di lavorare con elettrodi intracranici, che ci consentono di osservare i segnali cerebrali sulla scala dei millisecondi e con una precisa risoluzione anatomica». Le registrazioni intracraniche negli esseri umani sono relativamente rare, dal momento che risultano molto invasive. Nell’ambito di DecoMP_ECoG, intrapreso con il supporto del programma Marie Curie, i pazienti erano indirizzati all’ospedale con un’epilessia resistente ai farmaci. Gli elettrodi venivano allora impiantati sulla superficie del loro cervello al fine di localizzare l’origine dell’epilessia. I pazienti avevano gli elettrodi applicati nella testa per alcuni giorni, e i dottori aspettavano che si verificasse una crisi epilettica. Se era possibile farlo in sicurezza, la zone «malata» del cervello veniva allora rimossa per cercare di eliminare l’origine delle crisi. «Durante la loro permanenza in ospedale con gli elettrodi impiantati (solitamente tra 7 e 10 giorni), alcuni pazienti si sono offerti volontari per sottoporsi ad alcune prove cognitive. Il nostro team ha portato a termine diverse attività cognitive accanto al letto dei pazienti. Ad esempio, abbiamo studiato in che modo i numeri sono percepiti nel cervello o, nel mio caso, come si formano e poi “viaggiano” i ricordi in differenti zone del cervello». Il lato negativo di tali registrazioni è che la popolazione di pazienti epilettici era molto eterogenea: alcuni trovavano l’attività eccessivamente facile e imparavano «troppo velocemente», altri non riuscivano mai a imparare i materiali. Inoltre, gli elettrodi erano collocati in regioni rilevanti per scopi clinici, e questo significa che potevano trasmettere segnali epilettici che inquinano pesantemente i segnali generati durante l’apprendimento. «Questa è stata un’importante esperienza di apprendimento, ma ha limitato la forza statistica dei nostri risultati», afferma la dott.ssa Schrouff. Fortunatamente, questa limitazione non ha impedito lo studio di nuove tecniche di analisi. Nel suo lavoro, la dott.ssa Schrouff si è concentrata sull’impiego di tecniche di apprendimento automatico, ovvero modelli che imparano a eseguire un’attività se vengono loro forniti alcuni dati esempio. L’attività era quella di prevedere quali materiali precisi venivano presentati ai pazienti. Lei dice: «Abbiamo mostrato una sequenza di immagini di volti, animali e parole. I dati esempio erano i segnali cerebrali suscitati durante la presentazione e il modello, ricevuto un segnale cerebrale unico, prevedeva se il paziente stava vedendo un volto, un animale o una parola». Tali modelli sono stati utilizzati in neuroimaging, ma sono stati scarsamente studiati per le registrazioni intracraniche. Inoltre, la relazione tra il modo in cui un modello analizza i dati esempio e il modo in cui il cervello analizza gli stessi dati è ancora oggetto di dibattito. Durante la borsa di studio, la dott.ssa Schrouff ha studiato in modo approfondito questa relazione. «Penso che questo lavoro abbia contribuito alla letteratura in materia ma anche alla consapevolezza degli utilizzatori del modello dell’apprendimento automatico. Ho inoltre implementato il mio lavoro in un software open-source PRoNTo, che verrà presto distribuito».

Parole chiave

DecoMP_ECoG, funzione cognitiva, ricordo, registrazioni con elettrodi intracranici, apprendimento automatico, interpretabilità

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