Le piante si adattano ai cambiamenti climatici con un piccolo aiuto da parte di batteri amici
Approfondire la simbiosi tra piante e microrganismi specifici che popolano le loro foglie potrebbe incidere notevolmente sulla comprensione dell’adattamento delle piante in un’epoca di cambiamenti climatici. «Stiamo cercando di capire come le piante si stanno diversificando e perché alcune riescono a farlo bene e altre no e in che modo si stanno adattando ai diversi cambiamenti climatici», afferma Nina Rønsted, coordinatrice del progetto Symbiosis sostenuto dall’UE. Gli scienziati hanno studiato i batteri specifici delle piante che risiedono nelle foglie di alcune specie di piante. Il dott. Brecht Verstraete, che ha ricevuto una borsa di studio Marie Skłodowska-Curie individuale biennale per lavorare con la professoressa Rønsted, ha scoperto che la simbiosi esiste solo in alcuni gruppi di piante. Uno di questi è la «tribù» Vangueria della pianta del caffè, appartenente alla famiglia delle Rubiaceae. Il genere conta circa 600 specie. «È in questo gruppo di piante che è stata rilevata la maggior parte degli episodi di simbiosi», osserva. «Quello che abbiamo scoperto è che tutte le specie che ospitano questi batteri sembrano avere una propria specie batterica unica: si tratta di una relazione uno-a-uno». Analisi del DNA e datazione Le piante sono state raccolte nel corso di spedizioni, principalmente in Africa orientale e in Sudafrica. Il DNA è stato estratto dalle foglie e alcune parti del DNA sono state sequenziate. «Abbiamo ottenuto circa 160 specie, metà delle quali contenente batteri, e poi abbiamo confrontato le sequenze di DNA in modo da poter vedere quanto velocemente si stavano evolvendo». Il dott. Verstraete spiega che essi si sono diversificati, creando nuove specie nel tempo. Osservando le sequenze di DNA mediante l’uso dell’orologio molecolare (una tecnica che utilizza il tasso di mutazione delle molecole di DNA per determinare quando, nella preistoria, si sono verificate le mutazioni e quindi calibrarle usando fossili di quella particolare pianta, se disponibile) è stato in grado di datare quando è apparsa la simbiosi con il batterio. I fossili vegetali sono stati datati usando metodi di datazione geologica che includono la datazione al carbonio. «Abbiamo collegato i dati fossili con la sequenza del DNA per stabilire l’età delle specie», spiega il dott. Verstraete. Tali tecniche sono state utilizzate per studiare piante o animali separatamente, ma questa è stata la prima volta in cui sono state utilizzate per stabilire un legame tra le piante e i batteri specifici delle piante. Le mutazioni si sono verificate mentre l’Africa si stava raffreddando Il dott. Verstraete ha datato l’origine della simbiosi batterica a circa 11 milioni di anni fa, nell’era del tardo Miocene. In quel periodo si verificò un raffreddamento globale e una diminuzione generale del biossido di carbonio nell’atmosfera. Quando la placca continentale africana entrò in collisione con il continente eurasiatico, l’Africa divenne più secca e la foresta pluviale che copriva il continente si ridusse e fu sostituita da pianure erbose aperte o savane. «Questo è stato un periodo molto difficile per le piante, visto che i mammiferi, i grandi erbivori, erano ovunque desiderosi di cibarsene», afferma la professoressa Rønsted. I batteri delle foglie potrebbero aver tenuto lontani gli animali in modo che le piante sopravvivessero. La professoressa Rønsted lo descrive come una sorta di «difesa chimica» rispetto a difese come spine o aculei. «Risulta che le piante non funzionino molto bene quando i batteri non sono presenti», afferma la professoressa Rønsted. «La pianta sembra dipendere dall’interazione con questi batteri e quando si confrontano le discendenze di quelle che contengono questi batteri con quelle che ne sono prive, troviamo molte più specie. Sappiamo che le piante che hanno questi batteri creano più specie più velocemente, anche se il tasso di estinzione sembra essere lo stesso». Questo è un vantaggio per le piante associate a questi batteri, afferma la professoressa Rønsted. «Dove c’è molta variazione, c’è una buona base per l’adattamento, se dovesse essere necessario». Sapere che piante con la simbiosi batterica potrebbero essere migliori nell’adattarsi ai cambiamenti climatici, per esempio, può essere utile per una gestione della natura più efficace in futuro, spiega.
Parole chiave
Simbiosi, DNA, cambiamenti climatici, adattamento vegetale, evoluzione, Africa, caffè, fossili, botanica