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Organic Light-Emitting Diodes for Optogenetic Control of Neurons

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Gli OLED per un miglior controllo dei neuroni

Presto gli OLED potrebbero alimentare un’optogenetica avanzatissima, spianando la via a una migliore conoscenza delle reti neuronali e una protesiologia di ultimissima generazione.

Forse non ce ne rendiamo conto, ma i neuroni sono al centro della nostra capacità di attribuire un senso al nostro ambiente e di interagire con esso. Grazie all’optogenetica, queste cellule possono essere ora controllate con elevata precisione mediante la luce, con potenziali applicazioni nella cura di malattie neurologiche o compromissioni della vista. Questa tecnica si fonda, tuttavia, proprio su fonti di luce LED o laser che, per la loro carenza in termini di precisione e risoluzione spaziale, spesso non sono in grado di controllare neuroni singoli. “La trasmissione della luce da tali sorgenti alla regione pertinente del cervello in un animale vivo generalmente impone di tenere l’animale sotto un microscopio o di introdurre componenti ingombranti e rigidi che non si conformano al tessuto molle e, pertanto, possono influenzare il comportamento dell’animale,” spiega Caroline Murawski, borsista Marie Skłodowska Curie presso l’University of St Andrews. Con il finanziamento nel quadro del progetto NEUROLED (Organic Light-Emitting Diodes for Optogenetic Control of Neurons), Murawski sta puntando a superare tali limiti, strutturando OLED in scale di lunghezza subcellulare con una risoluzione estremamente elevata, in modo da consentire un rapido passaggio tra le varie cellule bersaglio su grandi aree. La possibilità di produrre tali OLED su substrati flessibili implica anche la possibilità, alla fine, di adattarli alla forma dell’organo bersaglio in vivo. “Mi figuro OLED in grado di affrontare migliaia di cellule tutte insieme, con una flessibilità meccanica capace di apportare enormi benefici per il bioimpianto,” afferma con entusiasmo Murawski. Il progetto si avvale della fotolitografia per ottenere pixel di OLED con dimensioni di 10-100 μm, in base alla necessaria risoluzione spaziale. Gli OLED emettono colori che corrispondo allo spettro di attivazione di proteine sensibili alla luce introdotte geneticamente; includono strati di trasporto di carico dopato elettricamente con elevata conduttività, per ottenere un’alta luminosità a basse tensioni applicate, generando pertanto un riscaldamento resistivo minimo che, altrimenti, si diffonderebbe alle cellule adiacenti. Poiché l’efficienza degli OLED generalmente si riduce decisamente a livelli maggiori di luminosità, la dott.ssa Murawski ha dovuto equilibrare i due aspetti, servendosi di emittenti fluorescenti invece di composti fosforescenti (ampiamente presenti negli OLED commerciali). “Un’altra difficoltà è la rapida degradazione degli OLED quando vengono a contatto con l’acqua,” aggiunge Murawski. “Per prendere a bersaglio cellule con elevata risoluzione spaziale in ambiente acquoso, naturalmente necessario per la crescita delle cellule, i materiali organici devono essere protetti con una pellicola di incapsulamento molto sottile. A questo punto, seguiamo due strade: l’uso di ossidi e polimeri cresciuti tramite deposizione in fase di vapore di elementi chimici e l’impiego di fogli di incapsulamento di vetro flessibile ultrasottili.” Il passo successivo per Murawski e i suoi colleghi del gruppo del prof. Malte Gather è stato l’impiego dei loro OLED ad alta luminosità per esperimenti di optogenetica di prova di concetto. Intendono far crescere le cellule direttamente sopra gli OLED o di impiantare versioni miniaturizzate dei dispositivi in animali vivi. Come spiega Murawski, gli OLED sono poi guidati da impulsi di corrente misurabili in ms, producenti impulsi di luce ad alta potenza, che evocano l’attivazione di potenziale d’azione nei neuroni adiacenti. “Per la nostra prova di concetto, abbiamo utilizzato le larve di Drosophila melanogaster (mosche della frutta), che rappresentano un organismo modello in genetica. Abbiamo dimostrato che gli OLED raggiungono i livelli di luminosità richiesti per stimolare i neuroni delle larve e, con i nostri dispositivi, siano stati in grado di controllare il comportamento larvale. Ora stiamo lavorando per dimostrare gli OLED possono evocare onde di potenziali d’azione in colture di neuroni primari, nonché di combinare tale condizione con una lettura di dati ottica dell’attività neuronale.” Grazie a questa ricerca, i neuroscienziati potranno servirsi di uno strumento che consente esperimenti completamente nuovi, ad esempio studi del modello di attività di rete, quando si inseriscono o si rimuovono neuroni inibitori sistematicamente. In tal modo si otterrebbe un modello potente ma semplice per lo studio di problematiche mediche come la malattia di Alzheimer. “Gli OLED flessibili possono anche servire da fonti di luce bioimpiantabili per consentire una stimolazione ben definita di certe regioni nel cervello negli studi animali, fino ad arrivare potenzialmente anche a pazienti. Stiamo già lavorando con un ampio consorzio a guida statunitense per sviluppare la protesiologia e speriamo di aggiudicarci i fondi di un’organizzazione di beneficenza britannica, per sviluppare e utilizzare gli OLED per uno studio neuroscientifico orientato alla ricerca di base,” conclude Murawski.

Parole chiave

NeurOLED, OLED, LED, optogenetica, neuroni, rete neurale, protesiologia, alzheimer, drosophila, neuroscienza

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