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Contenuto archiviato il 2024-04-18

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Una tecnica per l’individuazione dell’acqua allo scopo di selezionare gli esopianeti potenzialmente abitabili

Finora Kepler della NASA ha portato alla scoperta di 2 325 esopianeti, i quali ovviamente non sono tutti abitabili. Per aiutare a individuare i candidati idonei, identificare la gamma di condizioni atmosferiche sui pianeti con acqua e fare luce sul modo in cui i campi magnetici planetari nascono e si evolvono, il progetto HOTMOL sta ideando nuovi strumenti che fanno affidamento sulla spettropolarimetria.

Come hanno origine e si evolvono i campi magnetici planetari e quanto efficacemente essi schermano le atmosfere dalla disidratazione causata dal vento stellare? La localizzazione dei campi magnetici nei planetesimi e negli esopianeti fornirà una nuova dimensione alla nostra comprensione dell’abitabilità. Per qualificarsi come esopianeta, un oggetto planetario deve soddisfare quattro criteri: una massa o massa minima uguale o più leggera di 30 masse di Giove, la presenza di una stella ospite, sufficienti osservazioni successive e conferme per escludere la possibilità di essere davanti a un falso positivo e la disponibilità di tali informazioni in aggiunta ad altre proprietà orbitali e fisiche in pubblicazioni a revisione paritaria. L’identificazione di un pianeta simile alla Terra che sia in grado di sostenere la vita è comunque tutta un’altra storia. La vita come la conosciamo richiede in particolare acqua in forma liquida, un elemento che le attuali tecnologie non sono in grado di rilevare. Per superare questo problema, il progetto HOTMOL (Hot Molecules in Exoplanets and Inner Disks), finanziato dall’UE, usa la spettropolarimetria nella speranza di rilevare delle molecole calde, ovvero vapore acqueo e altre sostanze volatili, sugli esopianeti e nella parte interna dei dischi protoplanetari. Il progetto HOTMOL è guidato dalla prof.ssa Svetlana Berdyugina dell’Università di Friburgo in Brisgovia, in Germania. Lei descrive in che modo il progetto porterà a metodi sensibili per il rilevamento delle molecole calde sugli esopianeti, e come tali risultati siano fondamentali per far progredire l’attuale comprensione del sistema stella+pianeta. Come può la presenza di molecole calde informarci della presenza di acqua su specifici esopianeti? Noi troviamo molecole di acqua calda nelle stelle e in pianeti caldi simili a Giove a temperature di migliaia di gradi, e molecole di acqua fredda e ghiaccio nelle nubi interstellari e ai margini del sistema solare a temperature pari a pochi gradi Kelvin. Per creare la vita che noi conosciamo, l’acqua in forma liquida sulla superficie planetaria è un prerequisito. Ma rilevare l’acqua liquida sulle superfici degli esopianeti, e in particolare su un pianeta delle dimensioni della Terra potenzialmente abitabile, non è ancora possibile. Tuttavia, quello che per adesso sappiamo è che, se esiste acqua sulla superficie, essa deve essere anche presente nell’atmosfera planetaria sotto forma di vapore acqueo, poiché evapora sotto l’influsso dell’irradiazione stellare assieme ad altre molecole collegate. Queste molecole calde sono fondamentali per definire l’abitabilità dei pianeti, e ideare dei metodi sensibili per rilevarle sugli esopianeti è il primo passo verso la scoperta della vita extraterrestre. Quale tipo di metodi avete inventato per l’individuazione di queste molecole calde? Il principale problema nello studio dei sistemi esoplanetari è quello di separare la luce planetaria dalla luce stellare che brilla molto di più. Per ottenere questo, il team di HOTMOL utilizza una intelligente tecnica a doppio differenziale chiamata spettropolarimetria. In primo luogo, il segnale del pianeta viene diviso in linee spettrali, poiché particolari molecole potrebbero non essere presenti negli spettri stellari o la loro velocità potrebbe essere modificata rispetto alle linee stellari. In secondo luogo, le linee spettrali planetarie diventano evidenti nella luce polarizzata vicino ad alcune fasi orbitali. Pertanto, le linee apparirebbero e scomparirebbero periodicamente nella luce polarizzata mentre il pianeta orbita intorno alla stella. Questo approccio aumenta la sensibilità di rilevamento di almeno un ordine di grandezza, ed è anche un controllo di validità per il rilevamento delle molecole effettuato usando solo la spettroscopia. I segnali spettrali e di polarizzazione combinati forniscono delle informazioni uniche sulle condizioni fisiche sia negli esopianeti che nei planetesimi prossimi alle stelle. Un risultato inatteso raggiunto da questo progetto è stato l’utilizzo della stessa tecnica per localizzare organismi fotosintetici su pianeti distanti. Noi abbiamo misurato gli spettri polarizzati delle piante e dei batteri terrestri e abbiamo calcolato gli spettri di pianeti simili alla Terra con biofirme fotosintetiche. Abbiamo mostrato che la nostra tecnica è molto più sensibile rispetto alle altre a queste biofirme. Se un giorno si dovessero trovare dei pianeti in alcuni dei sistemi planetari vicini, in particolare attorno alle stelle Alfa Centauri A e B, è possibile che tali segnali possano essere cercati con gli attuali grandi telescopi. Come possono essere valutate queste tecniche in confronto a quelle attuali? Le osservazioni attuali utilizzano solo flusso e spettro non polarizzati per localizzare gli esopianeti. Il team di HOTMOL guida il tentativo di potenziare questi studi con la luce polarizzata. Come spiegato in precedenza, la sensibilità è già di un ordine di grandezza migliore nella luce polarizzata, ma viene ulteriormente aumentata adottando nuove tecnologie ottiche ed elettroniche. Inoltre, le variazioni del flusso polarizzato sono osservabili indipendentemente dal fatto se il pianeta transiti o meno davanti alla stella, e ciò rende possibile applicare questa tecnica a un campione molto più grande di esopianeti. Una tecnica spettrale a correlazione incrociata impiegata da altri ha dimostrato il suo potenziale nella localizzazione degli esopianeti. Il suo potenziamento con misurazioni della polarizzazione fornirà una grande quantità di informazioni sulle leggi fisiche delle loro atmosfere. Quali sarebbero i prerequisiti tecnici per l’utilizzo di questi strumenti nella ricerca degli esopianeti? Anche se lo sviluppo di nuove tecniche è la nostra prima sfida, la loro applicazione per un utilizzo ampio rappresenta il nostro obbiettivo finale. In particolare, il fatto di possedere delle strutture per l’osservazione dedicate, come ad esempio la rete di telescopi equipaggiati con polarimetri ad alta sensibilità, è un importante prerequisito. Assieme ai nostri collaboratori all’Università di Turku (Finlandia) e all’Università delle Hawaii (Stati Uniti) abbiamo costruito diverse copie dei nostri polarimetri ad alta sensibilità che sono utilizzate nei telescopi in tutto il mondo: a La Palma e Tenerife (Canarie), Mauna Kea e Haleakala (Hawaii), e alla fine di quest’anno anche in Tasmania. Noi siamo anche membri del consorzio di telescopi PLANETS (Polarized Light from Atmospheres of Nearby Extra-Terrestrial Systems) assieme all’Università delle Hawaii (Stati Uniti) e a quella di Tohoku (Giappone). Questo telescopio che verrà costruito ad Haleakala sarà una delle strutture dedicate nella nostra rete. La localizzazione inequivocabile della vita sugli esopianeti richiede una struttura molto più grande. I primi passi verranno forse compiuti con i telescopi nella classe dei 30 metri, come ad esempio il ESO E-ELT che verrà costruito in Cile, ma gli studi sistematici sulla distribuzione della vita nelle vicinanze del sistema solare richiederanno una struttura nella classe dei 100 metri come i telescopi Colossus ed Exo-Life Finder (ELF) cui abbiamo fornito dei casi di scienza. Che risultati dovete ancora raggiungere prima della fine del progetto? Durante i quattro anni del progetto abbiamo sviluppato molti strumenti teorici e abbiamo ottenuto e analizzato molti dati osservazionali. L’ultimo anno del progetto è dedicato alla conclusione di molte pubblicazioni che vengono adesso preparate dai membri del team. Verso la fine del quinto anno organizzeremo una conferenza e una scuola internazionali sulle molecole calde e le biofirme negli esopianeti, dove presenteremo i nostri risultati e forniremo alla comunità dei corsi su come utilizzare i nostri strumenti e i nostri dati. Quando e come verranno resi disponibili alla comunità questi strumenti? Rendere i nostri strumento teorici disponibili per l’utilizzo da parte di una più vasta comunità è uno dei principali obbiettivi di HOTMOL. Noi abbiamo sviluppato un sito web dedicato dove i nostri strumenti possono essere fatti funzionare online, persino usando un telefono cellulare. Essi adesso includono calcoli delle proprietà magnetiche molecolari, spettri molecolari polarizzati, eclissi e transiti esoplanetari, luce polarizzata riflessa dagli esopianeti e polarizzazione stellare diffusa. Noi continuiamo ad aggiungere altri strumenti per gli studi sugli esopianeti e porteremo avanti questo sito web anche dopo la conclusione del progetto. Le nostre risorse includono anche dati ottenuti con i nostri strumenti. L’utilizzo degli strumenti è libero per chiunque attraverso una registrazione online. HOTMOL Finanziato nell’ambito di FP7-IDEAS-ERC Sito web del progetto Pagina del progetto su CORDIS

Paesi

Germania

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